Castelmagno in paradiso, la mia vacanza gastronomica (parte seconda)

Nell’Ottocento era diventato il “re” dei formaggi italiani conquistando i ristoranti più celebri da Londra a Parigi, nel secondo dopoguerra aveva rischiato di scomparire a causa dello spopolamento della montagna, alla fine degli anni Ottanta ottiene la certificazione Doc e Dop grazie alla ripresa di tutta la filiera produttiva del formaggio: è stata la mia devozione per il Castelmagno che mi ha guidato durante l’estate in terra piemontese, alla scoperta di una storia tanto straordinaria quanto il formaggio che vi si produce.

Avevo sentito parlare di un piccolo borgo restaurato nei pressi di Castelmagno e di un caseificio specializzato nel Castelmagno di alpeggio, ma trovarmi di prima mattina di fronte ad un agglomerato di piccole case di pietra incastonato nel mezzo di un paesaggio mozzafiato con tanto di chiesetta ristrutturata mi ha letteralmente spiazzato.

Ad accogliermi ho trovato Elisa Fantino, intraprendente trentacinquenne figlia di uno dei due soci della cantina Conterno Fantino, che mi ha subito rapito con la sua narrazione.

“Stavo studiando lingue all’università quando mio zio Claudio mi parla di questo progetto per il recupero del Castelmagno – esordisce Elisa – avevo 20 anni e una profonda stima per la sua visione imprenditoriale per cui mi butto insieme in questa avventura iniziata nel 2007 con una decina di altri soci e l’ottenimento dei fondi europei, proseguita poi nel 2008 con la fondazione dell’azienda agricola Des Martin, nel 2009 con l’inizio dei lavori nel borgo a partire dal recupero dell’antico caseificio, fino al 2016 con l’inaugurazione del rifugio e dell’agriturismo”.

Nel frattempo inizia la produzione del Castelmagno, con la prima uscita nel 2012.

“Oggi possediamo 29 mucche che producono un massimo di 10 litri di latte al giorno e siamo in alpeggio da metà giugno alla fine di ottobre” spiega Elisa.

Il rifugio Valliera si trova a 1570 m di altitudine e le mucche pascolano libere sulla montagna. Il caseificio è piccolino e, meraviglia delle meraviglie, scopro che il formaggio viene prodotto da una ragazza di 18 anni e un ragazzo di 21. Qui la TV non c’è e il telefonino non prende. Ci si alza alle 4 del mattino per andare a mungere le mucche nell’alpeggio, poi si ritorna in caseificio per produrre alle 17 si torna a mungere le mucche e poi si rientra, pronti a ricominciare.

Per produrre una forma di Castelmagno ci vogliono 60 litri di latte, quindi non si riesce mai a produrre più di 6 forme al giorno.

“Una volta, in queste piccolissime borgate – continua Elisa – ogni famiglia aveva una mucca e quindi non c’era latte sufficiente per produrre una forma, perciò si faceva cagliare il latte, si rompeva la cagliata e poi la si lasciava riposare per 4 o 5 giorni, il tempo necessario per reperire altra materia prima. Si assemblavano poi tutte queste cagliate, si rompevano a chicco di riso, si passava la cagliata nelle fascere, si chiudeva il telo di lino e si lasciava spurgare il formaggio. Dopo due tre giorni il formaggio veniva tolto dalle fascere e, completamente bianco, veniva messo a stagionare in questi piccoli magazzini di stagionatura. Il formaggio maturava, producendo all’interno delle bellissime striature blu e verde.”

Ed è proprio questa la differenza tra il Castelmagno di pianura (marchio blu) e il Castelmagno di alpeggio (marchio verde): il primo è di colore bianco non essendo stato stagionato abbastanza, mentre il secondo sarà di colore paglierino, striato di venature blu e verdi all’interno.

Durante l’inverno le mucche vengono trasferite in pianura a Boves, dove in agosto è stato inaugurato un nuovo caseificio per la produzione stagionale di altri formaggi utilizzando anche il latte di mucche provenienti da altre malghe: oltre all’Unico di Valliera, si producono anche l’Unico di Campofei, l’Unico di Narbona, l’Unico di Batuira dai nomi delle malghe di provenienza, il Baciaset, il Croce e il Blu di Ollasca.

Questa beve vacanza mi ha confermato che una grande passione unita ad una grande visione riescono a dare vita a progetti dal valore inestimabile, come il recupero e la rinascita di un borgo destinato a scomparire. Senza dimenticare la giovane età dei protagonisti di questo progetto, a dimostrazione che anche le nuove generazioni, se motivate e valorizzate, non temono i sacrifici.

Non mi resta che suggerirvi di inserire il Rifugio Valliera tra le prossime vostre mete, con degustazione e acquisto di questo straordinario formaggio prodotto da due giovanissimi casari.

Un grazie di cuore ad Elisa per avermi raccontato questa bellissima storia e per aver deciso di seguire lo zio Caudio in questo splendido progetto rischiando anche di mettere a repentaglio il suo rapporto con i genitori, che magari avrebbero preferito vederla lavorare in cantina come Brand Ambassador per il loro meraviglioso vino.

A presto

Letizia

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